Apprendere i contesti. Strategie per inserirsi in nuovi ambiti di lavoro, recensione di Antonello d’Elia di Antonello d’Elia

 

“Sto scrivendo… per operatori “giovani” che entrano per la prima volta in un contesto nuovo e non solo desidero passare ciò che ho appreso nel tempo e di cui sono fermamente convinta, ma credo anche che le giovani leve possano proporre pratiche nuove e riesumarne alcune già sperimentate e abbandonate…”. E’ con questa esplicita dichiarazione di intenti, che Umberta Telfener riassume il senso e il fine di questo libro che la restituisce, dopo le escursioni nel mondo dei legami amorosi (Ho sposato un narciso, Le forme dell’addio), alla riflessione sulle pratiche sistemiche. Il punto di vista da cui questa volta osserva il mondo dell’intervento sistemico è quello della spendibilità della formazione, della possibilità di rendere vivo e concreto quanto appreso nei contesti di apprendimento istituzionali. Per raggiungere tale obiettivo assume il punto di vista dei giovani psicologi, sempre più alle prese con l’etica e le prassi di una professione che si è modificata nel tempo seguendo gli esiti di cambiamenti sociali, culturali ed economici. Identità professionali in fieri quelle dei giovani specialisti rispetto a un lavoro che, nella maggior parte dei casi, va cercato, scovato, inventato più che trovato. Ad essi (ma in verità a chiunque altri voglia riflettere sulla centralità dei contesti nel lavoro clinico) è indirizzato il volume che si inserisce nella scia di lavori ormai ‘storici’ come quelli della Selvini (uno tra tutti: Sul fronte dell’organizzazione) ma cala nella contemporaneità l’attenzione a una lettura della complessità come peculiarità dell’approccio sistemico. E se al tempo ci si rivolgeva ad operatori già attivi in un mondo del lavoro consolidato che veniva scoprendo le possibilità di una visione olistica, il percorso segnato oggi dalla Telfener offre ai lettori la responsabilità generazionale di un formatore consapevole, attento ai destini professionali dei suoi allievi alle prese con un panorama lavorativo sfrangiato, incerto ma non per questo privo di grandi potenzialità applicative.

Consulente sistemica, supervisore, terapeuta, formatrice in diverse scuole di psicoterapia, l’Autrice insegna alla Scuola di specializzazione in Psicologia della Salute  dell’Università di Roma “La Sapienza”. A partire dal confronto con i diversi ambiti in cui gli studenti fanno esperienza si dipana il filo rosso del libro che ritorna come un mantra per tutte le sue pagine: “Osservate i contesti prima di intervenire!”. Non si tratta tuttavia di un’opera precettistica ma di un rigoroso manuale che parte dai principi fondanti di un pensiero che poggia le sue operazioni su una teoria costruttivista della conoscenza e radica la sua prassi su solide basi epistemologiche: l’individuo è parte di contesti di varia complessità ma tutti sottoposti alla circolarità delle cause e osservabili in quanto descrivibili come sistemi.

Troppo spesso nelle scuole di psicoterapia si prescinde da un’attenzione ai cambiamenti delle professioni d’aiuto verificatisi negli ultimi due decenni e ai diversi sbocchi lavorativi che attendono gli specializzandi. E’ ugualmente frequente che la specificità dell’approccio formativo non faccia i conti con le basi epistemologiche del sapere tecnico che viene insegnato e, soprattutto, con i diversi contesti in cui esso è impiegato. Ne risulta una perniciosa confusione tra la prassi psicologico-clinica e la psicoterapia, quasi che una formazione non fosse innanzitutto apprendimento di un metodo per pensare ed osservare oltre che di agire. L’illusione psicoterapica, quella che solletica fantasie di idealizzati setting adatti ad altrettanto vagheggiate stanze di terapia, appare allora una pericolosa mistificazione, sia rispetto all’etica dell’insegnamento, sia a quella delle prassi che possono risultarne: iatrogene e dannose rispetto  alla sofferenza e collusive con il controllo e il potere che sempre si annida nelle discipline psy.

Da questi rischi mette in guardia la Telfener evidenziando le insidie di una formazione quando questa non insegna a separare tecnica da teoria, a padroneggiare la modalità di osservazione come sospensione preliminare dell’azione, a far propria la consapevolezza delle premesse conoscitive epistemiche e il rapporto tra queste e il fare. La formazione sistemica possiede degli antidoti formidabili contro tali rischi in quanto luogo di osservazione della complessità,  a patto di rimanere innanzitutto un modello di riferimento in cui il sistema è un metodo di osservazione e non un oggetto in sé. E purchè si distingua tra sistemica come chiave di lettura di contesti, come azione multimodale o, infine, e solo infine, come tecnica terapeutica. Riprendendo una storica ripartizione tra sistema come strumento di intervento terapeutico ovvero come modello osservativo e chiave sovraordinata di lettura dei fenomeni, l’autrice la riporta ai contesti clinici contemporanei: di una clinica che non è primariamente cura ma prendersi cura, non diagnostica di deficit psicopatologici ma addestramento a sollecitare risorse e competenze, non riparazione focale ma ristrutturazione cognitiva ed emotiva che si dispiega nel tempo dei processi ed è radicata in un modello evolutivo e di sviluppo.  “Entrare in un contesto e muoversi in maniera corretta è un’operazione clinica tra le più sofisticate ed importanti”: sono qui sia la premessa di un lavoro che si muove tra la dimensione psicosociale e quella psicoterapica, ma che vede sempre il contesto come luogo e matrice di significati, sia i presupposti di un ritorno al sociale come sostanza relazionale in cui siamo calati e a cui ha senso ricondurre un’idea di cura, se intesa come messa in campo sulla scena della comunità di interventi trasformativi. Modificare i contesti vuol dire infatti modificare le relazioni e le persone. Entrano così nel libro (ad essi è dedicata una seconda parte del volume curata da Lara Villani) il mondo della cooperazione internazionale e quello delle cooperative, il carcere e le amministrazioni locali, le consulenze ospedaliere e i servizi territoriali per adulti o per l’infanzia: tutti quei luoghi del sociale in cui un operatore consapevole può efficacemente ristrutturare le premesse di contesto per introdurre pratiche evolutive.  Alla descrizione di queste esperienze contribuiscono con le loro testimonianze più di venti allievi formatisi con l’autrice all’intervento sistemico che raccontano di luoghi della società e di problemi collettivi in cui la restituzione di competenze alle persone, la valorizzazione delle loro risorse e la fiducia nel potere riparativo delle relazioni umane conferiscono al lavoro, clinico o di consulenza, diretto o indiretto che sia, un sovrappiù di eticità.

Un glossario di termini ed acronimi adottati in ambito sociosanitario, che rimandano alle nuove normative e procedure di riferimento nel lavoro territoriale, e una corposa bibliografia (a proposito, perché non citare “Quale diagnosi per quale terapia” di Andolfi e Angelo che rimane un ottimo riferimento per alcuni dei temi trattati –Terapia Familiare, 31, 1989 ?) completano questo volume.

Un’ ultima impressione di lettura è quella di una grande coerenza tra i presupposti formativi e i contenuti: assumendo il punto di vista dei giovani allievi in formazione o alle prime esperienze lavorative Umberta Telfener racconta di quelle vissute quando era nella loro posizione e di quanto le fosse stato utile scontrarsi con i suoi handicap e limiti per trasformarli poi in risorsa e competenza, per apprendere anche lei dai contesti.  Non si può chiedere di più a un buon maestro.

 

 

Antonello d’Elia, Roma

 

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